l sistema ie: un diverso approccio alle firme nell’arte giapponese

29 Settembre 2017

l sistema ie: un diverso approccio alle firme nell’arte giapponese 

 

Quando ci troviamo davanti ad un oggetto giapponese firmato, tendiamo a illuderci che sia stato realizzato esclusivamente da chi ha apposto quella firma. Questo può anche essere vero per un certo tipo di opere, ad esempio per i dipinti e le calligrafie, ma quando di tratta di oggetti che prevedono una lavorazione lunga o impegnativa, quali la forgiatura, la lavorazione a sbalzo o la laccatura, è molto probabile che l’oggetto in questione sia in realtà un lavoro collettivo più che un manufatto creato da un singolo artista.

Questo accade anche nell’arte occidentale nella quale gli artisti importanti avevano la loro bottega che si occupava dei lavori più ripetitivi o pesanti. In giappone però questo fenomeno era più complesso per via di un sistema chiamato “iemoto”. Il sistema ie, il cui significato è “famiglia”, ha origini antiche e venne incentivato dal governo durante il periodo Edo; ancora adesso è comunque abbastanza diffuso tra le piccole imprese familiari.

La logica di questo sistema può essere sintetizzata in quattro principi fondamentali:

 

  • L'obiettivo primario è quello di sopravvivere e di prosperare: quando la ie prospera così fa la famiglia.
  • I membri devono sacrificare i loro privilegi di singoli per il bene della ie.
  • Il capo della ie ha potere incondizionato sul resto della famiglia.
  • Il successore del capo della ie sarà probabilmente il suo primogenito.

 

È quindi chiaro come in questo sistema la famiglia e gli affari siano una cosa sola e che chi conta realmente è il capo della ie, ilmaestro”. 

La domanda dunque è: cosa accade quando una bottega costituita da un’intera famiglia produce un’opera ? Facile indovinare: tutta la produzione viene etichettata come “creata dal mastro in persona”. Questa pratica comune era chiamata in due modi a seconda di chi effettivamente apponesse la firma: daisuku quando uno studente/figlio creava un’opera e il maestro la firmava oppure daimei quando anche la firma con il nome del maestro veniva apposta da qualcun altro.

Il sistema ie prevedeva inoltre che quando un abile studente stava per succedere al maestro come capo della ie, ma non si trattava di un membro della famiglia, era necessario che venisse adottato affinché potesse avvenire la successione: esistono numerosi esempi in cui un artista senza figli abbia dovuto adottare il suo successore facendolo così diventare sia capo della bottega che della sua nuova famiglia.

 

Chiariamo subito che, quando parliamo di arte giapponese, le firme daisaku/daimei sono da considerare autentiche a tutti gli effetti, in quanto lo stile e la qualità deli lavori della bottega era controllata dal maestro in persona e nella maggior parte dei casi non è possibile distinguere chi ha effettivamente realizzato l’opera.

 

Questo sistema è il motivo per cui a volte si trovano delle opere di alta qualità firmate da artisti sconosciuti. Viene da domandarsi come mai non esistano altri lavori firmati dagli stessi; la risposta è che probabilmente hanno passato tutta la loro carriera lavorando nella bottega, sotto il sistema ie senza mai però diventare maestri della loro famiglia e producendo quindi opere che passavano sotto altro nome.

 

Un’altra pratica interessante derivante dal sistema ie di cui dobbiamo tenere conto quando abbiamo a che fare con oggetti firmati, è ciò che i giapponesi chiamano shumei, ovvero l’abitudine dei figli maggiori di prendere il nome del padre, al fine di mantenere una sorta di “marchio di fabbrica" sulla loro produzione.

Il nome tramandato da padre in figlio è chiamato tsumyo ed esistono oggetti firmati in cui lo stesso nome può indicare due o tre generazioni di artisti.

 

Ah, e per chi di voi pensasse che si tratti di pratiche solo di un passato remoto, ecco qui alcune aziende che hanno usato l’adozione per fini economici: Kikkoman, Canon, Suzuki, Toyota.

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